Carlo Petrini

Carlo Petrini racconta a Fuoriporta il “suo” Expo

Nei giorni scorsi ha denunciato l’assenza di pescatori, allevatori e agricoltori dall’Expo di Milano. Non era in fondo un rischio preventivabile, alla luce degli enormi interessi economici in ballo?

Purtroppo ci troviamo in un periodo della nostra storia in cui l’accumulazione e il profitto hanno la priorità su tutto. La nostra civiltà sta perdendo il buon senso. Era di certo un rischio, ma sembrava impensabile visto che il tema di questa esposizione universale è il cibo. Chi più di loro dovrebbe discutere di “nutrire il pianeta”?

Come è possibile riflettere sul tema “Nutrire il pianeta” senza dare voce a coloro i quali lavorano quotidianamente la terra?

Il problema non è la possibilità o meno di riflettere su questo tema, ormai basta accendere la tv quotidianamente per vedere gente che riflette. Il problema è che questa ennesima esclusione di questi difensori della biodiversità renderà la riflessione parziale. E’ come parlassimo di arte senza interpellare l’artista o di moda senza interpellare i sarti, ne uscirà una discussione incompleta. Dobbiamo tornare a dar valore alla Terra e a coloro che realmente la custodiscono e che sono portatori di saperi tradizionali tramandati di generazione in generazione e che grazie al lavoro empirico sul campo riescono studiare ed apprendere la scienza dell’agricoltura.

Una possibile soluzione a questo problema potrebbe essere un’edizione speciale della manifestazione di Slow Food “Terra Madre” a ottobre, come gran finale dell’Expo?

Era una possibilità fino alla scorsa settimana, adesso sarà realtà. Abbiamo deciso di convocare una edizione straordinaria che si chiamerà Terra Madre Giovani – We Feed The Planet, perché sarà dedicata a contadini, pescatori, allevatori, nomadi sotto i quarant’anni, che sono il vero futuro dell’alimentazione, coloro che davvero per i prossimi 20/30 anni dovranno nutrire il pianeta. Tutto questo avverrà nella città di Milano dal 3 al 6 di Ottobre e avremo bisogno dell’aiuto di tutti affinché questi ragazzi abbiano la possibilità di prendere un aereo e di alloggiare a Milano. In Langa, da dove vengo io, si dice “poco è poco, ma niente è troppo poco”.

Perché è convinto che il futuro sia nelle mani dei giovani che scelgono, in questa particolare fase storica, di fare i contadini come i loro padri e i loro nonni?

Il futuro è inevitabilmente nelle loro mani, di certo non mangeremo né computer né comunicazione. Ad oggi il numero di contadini in Italia è circa il 3% dell’intera popolazione e più della metà ha più di 60 anni. Inoltre c’è un fattore da non sottovalutare: è cambiata la generazione. A differenza di chi come me ha vissuto negli anni della crescita e del profitto come unica via e unico obiettivo, questi ragazzi hanno una sensibilità diversa, sono al corrente di quello che sta succedendo alla nostra madre terra e vogliono essere l’esempio concreto che esiste un’altra strada, esiste un modo diverso di fare economia e di valorizzare le realtà locali, differenziandosi dalla grande distribuzione.

Eppure, come ha detto più volte, è il libero mercato che sta mettendo in ginocchio milioni di contadini. Come conciliare le loro esigenze a quelle di una realtà socio-economica sempre più, inevitabilmente, globale e interconnessa?

E’ un processo molto lento che porta ad un processo che deve portare ad una cambiamento di paradigma. C’è la necessità di ridare valore al cibo, non può essere una semplice merce, come una camicia o un bullone. E’ incredibile come il prezzo di alcune materie prime venga definito dai mercati finanziari e non dai contadini, è inammissibile che la fetta più grande della torta se la mangino i vari intermediari e non chi si alza alle cinque del mattino per zappare la terra. Per far si che queste logiche cambino abbiamo bisogno che tutti i consumatori diventino attivi, che si informino e che scelgano con cura ciò che comprano, che non solo ha un maggiore valore etico, ma ha anche un sapore migliore. Al cambiare della domanda cambierà anche l’offerta e questo porterà anche la grandi aziende a cambiare logiche aziendali, e magari a ridare ai contadini la dignità che si meritano.