Itinerari

Gerace, la Gerusalemme dello Ionio, che bellezza!

La leggenda narra che intorno al decimo secolo dopo Cristo gli abitanti della vicina Locri, per sfuggire ai sempre più frequenti attacchi dei saraceni, un popolo proveniente da oriente, furono guidati su queste alture calabresi da uno sparviero, in greco Hierax.

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Da qui deriverebbe il nome Gerace, il “borgo dello sparviero” che è pronto a sorprenderti con le sue chiese, i palazzi storici, i panorami mozzafiato e una cucina gustosa e genuina. Dalla sua rupe di arenaria che si staglia a 470 metri di altezza dal livello del mare, il tuo sguardo potrà spaziare dal Parco nazionale dell’Aspromonte, Geosito Unesco al territorio della Locride, fino al mar Ionio.

Una posizione invidiabile ma al contempo nascosta e riparata, che ancora oggi permette a Gerace di mantenersi fuori dalle rotte del turismo di massa e di conservare intatto il suo fascino antico.
Nei suoi vicoli medievali scoprirai perché questo luogo magico è conosciuto anche come “la Gerusalemme dello Ionio”, o “la piccola Firenze del Sud”.

Gerace è la città delle 100 chiese, a partire da quella più grande dell’intera Calabria: la Cattedrale di Santa Maria Assunta, di origine bizantina-normanna, che domina la città alta insieme al castello di origine normanna; ma non dovrai perdere l’occasione di visitare anche la Chiesa dalle pure linee gotiche di San Francesco, quelle bizantine di San Giovannello e dell’Annunziatella, oltre quelle barocche del Sacro Cuore e dell’Addolorata. Una visita meritano pure i diversi conventi siti nel borgo tra cui quello di Monserrato con l’annessa chiesetta.

Qui i Normanni hanno lasciato tracce indelebili della loro presenza: sotto il dominio di Roberto II Guiscardo e successivamente del fratello Ruggiero I, Gerace si è rivelato un luogo strategico per controllare i traffici costieri della Calabria meridionale. Potrai leggere il glorioso passato di questo luogo lungo le sue piazzette, le sue strade ed i suoi muri. In Piazza del Tocco ammira alcuni fra i più importanti palazzi nobiliari, Palazzo Calcheopulo, Palazzo Migliaccio e Palazzo Macrì. I sontuosi palazzi che abbelliscono Gerace sono quasi sempre forniti di portali in pietra lavorata da scalpellini locali, mentre all’interno dei vicoli si trovano numerosi archi a “volta a giustini”, costruiti con una originale tecnica tipica del luogo.

Già, perché Gerace è ancora oggi la città degli artigiani della terracotta: lavorano in grotte scavate nel tufo, continuando una tradizione artigiana molto fiorente nei secoli XVI e XVII e mai andata perduta. Nell’antico borgo si trova anche un’antica fontana del 1606 e, in prossimità del centro abitato, sono stati scoperti i resti di una necropoli, testimonianza di tre diverse epoche: ceramiche del IX secolo a.C., corredi risalenti al VII secolo a.C. e varie suppellettili, di origine greca e italiota, risalenti al VII secolo a.C.

E poi, che dire della cucina? Qui i sapori sono intensi e basati su materie prime di ottima qualità. Avrai davvero l’imbarazzo della scelta tra carni di maiale, paste fatte in casa condite con il sugo di capra, minestre caratteristiche, peperoni e melanzane ripiene, formaggi, vini e olio. E ancora i dolci: dalla cicerata a base di ceci lessi, miele e cannella alle nocatule, delle particolari ciambelle fritte, fino ai rafioli a base di uova e farina, tradizionalmente preparati in occasione dei matrimoni.

Tra i borghi più belli d’Italia, Gerace è pronta a raccontarti la sua storia tra i vicoli, i palazzi, le finestre da cui esce quel profumo di casa che è possibile trovare solo dove il tempo sembra essersi fermato. Nella roccia, tra grotte naturali come in quelle scavate dall’uomo, Gerace è umanità. È calore. È storia.

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25 aprile insieme a Fuoriporta

Qualsiasi momento è buono per andar Fuoriporta… in questo itinerario abbiamo seguito le vostre richieste, mettendo insieme delle tappe che percorrono il Paese dal nord al sud offrendovi le possibilità più vaste per rendere speciale il vostro ponte del 25 Aprile!

Andiamo in Calabria, a Seminara un piccolo borgo che rinasce attraverso spinte e passioni dei suoi abitanti. E’ ricca di folklore e storia con echi che ci raggiungono dalle antiche battaglie del passato.
Siamo tra la Piana di Gioia Tauro, il Mar Tirreno e Cala Janculla, una delle più belle spiagge d’Italia, alle pendici dell’Aspromonte. Unite i punti sulla mappa, saranno il vostro viaggio.
Famosa per le sue ceramiche uniche, grandi sono le tradizioni delle fornaci, e per un passato glorioso. Qui a Seminara si raccolsero sotto il culto della Madonnina dei poveri dalla pelle d’ebano i Monaci Basiliani e i profughi dell’antica Tauriana, distrutta dai pirati nel X secolo. Seminara accoglie ogni 14 Agosto migliaia di fedeli che qui accorrono per festeggiare la madonna nera in perfetto accordo con la fiorente comunità ortodossa che ruota intorno alla splendida chiesetta dei Santi Elia e Filarete.
Ma cosa fare da queste parti?
Partiamo dal’archeologia:
il borgo di Sant’Antonio e le antiche mura di cinta della città;
l’Arco di Rosea, noto per la presenza di massicce mura in mattoni, edificati nella classica architettura delle fortificazione del tempo;
i ruderi dell’Ospedale più antico della Calabria costruito tra il 1400 e il 1450;
Castello Mezzatesta, un antico palazzo seicentesco che fu in parte restaurato in stile ottocentesco.
Oltre alle chiese, moltissime da visitare, nel 2005 è stata realizzata la prima chiesa ortodossa dei Santi Elia e Filarete, luogo di culto dell’Arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta.
Da non perdere la Basilica della Madonna dei Poveri che contiene la statua lignea più antica della Calabria, scolpita in legno di cedro e ricoperta d’oro. Pare sia giunta a Seminara dall’Oriente, portata da alcuni monaci bizantini in fuga dalla loro terra.E’ alta 92 centimetri e si dice che, per la sua altezza, sia seconda solo alla Madonnina di Verdelot, in Francia.
L’interno della chiesa, a tre navate, ospita altresì notevoli statue marmoree e un fonte battesimale, sempre in marmo, del XVI secolo.
Pregevoli anche le statue dei Santi Pietro e Paolo che decorano l’altare.
Bella la volta lignea con eleganti decori.

25 aprile Fuoriporta museo-frutta-torino

Un tuffo nel passato è invece quello che al Museo della Frutta di Torino
Trentanove varietà di albicocche, 9 di fichi, 286 di mele, 490 di pere, 67 di pesche, 6 di pesche noci, 20 di prugne, 44 di uva, 50 di patate e un esemplare ciascuno di rapa, di barbabietola, di carota, di pastinaca, di melograno e di mela cotogna: il Museo della Frutta di Torino ospita la collezione di 1021 “frutti artificiali plastici” modellati a fine Ottocento da Francesco Garnier Valletti, geniale ed eccentrica figura di artigiano, artista, scienziato. Una straordinaria collezione pomologica che è al contempo un tuffo nel passato per riflettere sul tema, attualissimo, della biodiversità. La ricostruzione dei laboratori d’analisi, delle sale della collezione pomologica, della biblioteca, dell’ufficio del direttore, valorizzano il prezioso patrimonio storico-scientifico della Stazione di Chimica Agraria dal 1871 ad oggi, nel contesto dell’evoluzione della ricerca applicata all’agricoltura a Torino tra Otto e Novecento.

Santa Caterina di Valfurva 25 aprile Fuoriporta - hotelsportinfo

Santa Caterina di Valfurva è la località turistica d’eccellenza della Valtellina che pur mantenendo in vita attività economiche legate all’agricoltura montana e all’allevamento, affiancò dalla seconda metà del XIX secolo le prime attività legate al settore turistico: l’alpinismo e le cure con le salutari acque ferruginose.
Nell’ottocento il Grand Hotel Santa Caterina offrì una comoda base ai primi alpinisti, inglesi e tedeschi, che scalarono le affascinanti montagne che coronano la Valfurva, oltre che essere una comoda e raffinata dimora per le élite di tutta Europa che sceglievano le cure con le celeberrime acque curative del posto.
A parte il passato…
La Valfurva è situata all’interno del gruppo alpino dell’Ortles-Cevedale che racchiude il più grande esteso ghiacciaio delle Alpi italiane, il ghiacciaio dei Forni. Lungo la vallata ci si imbatte in diversi villaggi ognuno dei quali conserva tuttora interessanti centri storici e luoghi legati alla cultura locale. Santa Caterina è tra questi. Cosa fare da queste parti? Ecco qualche idea!
Sci e snowboard con 35 km di piste per tutti i gusti, è possibile sciare sia di giorno che di notte.
Ice Climbing, ovvero arrampicata su ghiaccio, è un’esperienza da provare!
Pattinaggio sul ghiaccio all’aperto. E’ un’attività perfetta per chi si vuole godere una giornata all’aperto all’insegna dello sport e della musica! La pista è aperta tutti i giorni dal lunedì alla domenica fino a fine stagione.
Per chi non è amante dello sci, Santa Caterina offre moltissimi percorsi percorribili a piedi o magari con le ciaspole in cui perdersi nella natura. Per chi ama la montagna in generale, questa località è un paradiso.
Piste per lo sci nordico adatte anche ai principianti.
Uno sport molto in voga ultimamente che unisce la montagna e la passione per le bici, ovvero le fat-bike. Sono bici con gomme particolari e molto spesse che sono in grado di scorrere facilmente sulla neve.
Sono presenti anche i Bagni Vecchi e i Bagni Nuovi, due tra i centri termali più famosi in Italia, dove potrete concedervi un’intera giornata di relax.

Ravenna 25 aprile fuoriporta

Ravenna: alla scoperta della città che fu tre volte capitale
Avete mai sentito l’espressione “Maria si va cercando per Ravenna…” o “Cercando Mariola per Ravenna” (in dialetto “Zarchê Mariôla par Ravèna”)? Probabilmente no.
Dovete sapere che questa espressione è originaria proprio di Ravenna e da qui, a partire dal 1300, si è diffusa altrove. Che ne dite di avventurarci?
A Ravenna ci sono ben otto monumenti che fanno parte delle meraviglie che l’umanità ha inserito nel Patrimonio Mondiale dell’UNESCO e sono la Basilica di San Vitale, il Mausoleo di Galla Placidia, i Battisteri degli Ariani e degli Ortodossi, la Basilica di Sant’Apollinare Nuovo e in Classe, la Cappella Arcivescovile ed il Mausoleo di Teoderico.
La città è stata tre volte capitale di altrettanti grandi imperi dell’antichità come l’Impero Romano d’Occidente, l’Impero di Teodorico Re dei Goti e dell’Impero bizantino in Europa come testimonia, per esempio, il mosaico dell’imperatore Giustiniano nella già citata Basilica di San Vitale.
Ravenna ospita le spoglie di uno dei più grandi poeti italiani, e non solo, di sempre ovvero il fiorentino Dante Alighieri che vi morì nel 1321 dato che venne bandito dalla sua tanto amata città natale. Detto questo ora Ravenna non “scherza” più vero?
C’è un luogo, meno blasonato che ci ha molto colpiti…
Si tratta della basilica di San Giovanni Evangelista, una chiesa fortemente voluta dall’imperatrice Galla Placidia come ex-voto per essere scampata a una terribile tempesta mentre era in viaggio di ritorno da Costantinopoli (424 d.C.).
Attorno a questo edificio ruota una leggenda molto importante per la città tanto da essere raffigurata anche sul portale gotico risalente al XIV secolo. Sembra che in occasione della consacrazione della chiesa, Galla Placidia fosse alla ricerca delle reliquie di San Giovanni per glorificare maggiormente l’evento.
Non riuscendole a trovare, insieme al suo confessore iniziò una lunga preghiera notturna, implorando l’aiuto di Dio.
Fu così che durante le orazioni, apparve loro una figura luminosa dalle sembianze angeliche che con un turibolo andava incensando la chiesa. Galla Placidia si prostrò ai suoi piedi e, quando l’immagine evanescente scomparì, trovò tra le sue mani il sandalo del santo.

Narni 25 aprile fuoriporta

E ora saliamo sulla macchina del tempo.
Attraversiamo secoli. Anni. Ore. Minuti e secondi.
Parrebbe fantastico. Ma fantastico non lo è. E’ la realtà.
Ed eccoci, scendiamo nel 1371 a Narni, vestiti degli abiti di allora. Con le strade di allora. I mercanti chiassosi di allora che fanno e disfanno lungo un centro storico che immortala passanti, ricostruzioni, tendaggi, rumori e profumi di 631 anni addietro.
Ed eccoci magicamente capitombolati nell’anno della Rinascita.
Tutto è pronto per l’inizio della 54esima edizione della Corsa all’Anello 21 aprile – 8 maggio.
Il tema scelto è senza dubbio attuale: “La Rinascita dopo la peste”. Arte, commercio, cultura: invenzioni e capolavori della fine del Medioevo torneranno alla Corsa all’Anello del 2022.
Non solo in teoria, ma che in pratica, tanto che la Sfida, il primo appuntamento della Corsa all’Anello, vuol finalmente rendere omaggio alla propria tradizione, rinascendo dopo l’epidemia, grazie alle migliorate condizioni pandemiche. Rinasceranno nelle piazze e nelle vie quei suoni, colori e sensazioni, per due anni ricordati e conservati con mostre e ambientazioni nelle passate edizioni.
Tutto tornerà agli occhi del mondo nello splendore che lo ha reso famoso, rinascendo dal covid, come nel Medioevo tutto rinacque a nuovo splendore dopo la peste nera del 1348. Il 1371, anno di riferimento della manifestazione, rappresenta di per sé nei suoi abiti, negli ambienti ricostruiti, nelle giornate medievali, nella corsa storica, il modo più concreto, più spettacolare possibile per dimostrare la “Rinascita”, oggi come allora.
Il programma si snoderà per 18 giorni tra eventi della tradizione, mercati, conferenze, mostre, spettacoli, concerti ed esibizioni, non dimenticando l’offerta gastronomica dei terzieri.

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Gambarie un paesaggio da Twilight in Aspromonte

Ulivi e castagni… ma salendo ancora faggi, pini e abeti. Un paesaggio degno di Twilight, dove non manca nemmeno il tipico scoiattolo dal mantello nero e la pancia bianca. Siamo in Calabria a Santo Stefano in Aspromonte, località votata allo sci, perché è qui che si trova Gambarie, una sua frazione, nel cuore del Parco nazionale dell’Aspromonte, a 35 chilometri dal centro di Reggio Calabria, in una delle più importanti aree protette d’Italia, per estensione e per valore naturalistico, faunistico e paesaggistico.

E’ qui che si scia vedendo lo Stretto di Messina, le Isole Eolie e l’Etna.
Sempre qui hanno inizio alcuni percorsi di trekking provvisti di adeguata segnaletica, ad anello o diretti verso altri luoghi aspromontani, che offrono ai visitatori un’ampia scelta per difficoltà e durata.

Per chi ama il relax, può raggiungere Santo Stefano anche solo per godersi un po’ di pace. A pochi passi dal paese, una passeggiata nel verde, vi porterà al Cippo di Garibaldi, tappa quasi obbligatoria per i turisti, dove si può vedere il maestoso albero caratterizzato da un ampio incavo in cui i compagni di Giuseppe Garibaldi lo fecero riposare quando fu ferito alla gamba. Nelle immediate vicinanze dell’albero sorge un piccolo mausoleo che ricorda le gesta dell’eroe.

Da Gambarie, attraverso numerosi sentieri escursionistici segnalati, è possibile raggiungere le cascate del Maesano, la località Nardello dove sorge l’ex base americana, la cima di Montalto e il Santuario di Polsi.

Anche il centro storico di Santo Stefano offre un’alternativa per il vostro tempo libero con le sue vie ordinate e pulite, molte scalette, aria frizzante, legnaie. E’ ricco di angoli suggestivi con ripide scalinate, palazzi gentilizi ben conservati, caratteristiche fontane, case disposte a gradinata e stretti vicoli dai quali è possibile ammirare scorci paesaggistici di grande fascino.

Un itinerario che si rispetti termina sempre a tavola e in quella calabrese c’è da emozionarsi davvero con piatti a base di funghi, cacciagione, formaggi e carne, rigorosamente freschi e provenienti da allevamenti e coltivazioni del territorio.

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Gerace, tra i borghi più belli della Calabria a Natale è un incanto

Gerace, il Natale è un incanto in Calabria

E… Natale sia a Gerace, dove l’incanto del borgo, illuminerà le vostre feste. E qui che vi aspetta (su prenotazione) l’aitante Ruggero il Normanno, che in rigorosi abiti di scena, vi guiderà per le vie del borgo tra i principali monumenti della città a degustare prodotti della gastronomia locale dalle Nacatole, alle San Martine, alle zeppole. Onnipresente il peperoncino, così come i salami piccanti: salsicce e le soppressate, la ‘nduja, la rosmarina e la sardella.
Le ottime olive che prendono il nome proprio da Gerace, formaggi, spezie e confetture.
Da assaggiare il vino Greco di Gerace, ottenuto da uve greco, di colore giallo ambrato, liquoroso.
Alla dieta ci si pensa all’Epifania, che “tutte le feste porta via!”.
Se fino allo scorso anno, ciò che caratterizzava il Natale nel borgo, tra i Borghi più Belli della Calabria, erano gli artisti di strada, oggi lo sono i vicoli, i palazzi, quelle finestre da cui esce quel profumo di casa, che solo nei borghi è possibile trovare. Gerace è questo. E’ umanità. E’ calore. Qui vivono e lavorano ancora oggi contadini e artigiani della terracotta. Lavorano in grotte scavate nel tufo, continuando una tradizione artigiana, molto fiorente nei secoli XVI e XVII e mai andata perduta. Gerace è infatti la città dei vasai, delle chiese, dell’arte.
Nella roccia, tra grotte, in parte naturali, in parte scavate dall’uomo, quasi un presepe naturale, Gerace, sul versante jonico della provincia di Reggio Calabria, è qui per voi.
Non perdetevi la chiesa di S. Maria del Mastro dell’XI secolo con la tipica architettura bizantina e una facciata seicentesca. Poco più in alto c’è il Borghetto, dove ammirare molte case medievali a volte sorrette da archi di pietra.

La Cattedrale
La Cattedrale di Gerace è fra le “più insigni fabbriche della Calabria”. Essa, che contempera caratteri greci e latini, fu costruita su avanzi di una pre­esistente struttura sacra dedicata all’Aghìa Kyriakì (Santa Ciriaca) risalente all’VIII secolo, tra il 1085 ed il 1120, sotto il dominio dei nor­man­ni. L’edificio, trinavato con icno­grafia a croce latina, di stile bizantino-romanico-normanno, misura 1898 metriquadri ed è la più grande chiesa romanica dell’Italia Meridionale ed è il monumento più rappresentativo dell’architettura bizantino-romanico-normanna calabrese. Dedicata all’Assunta si presenta maestosa sia all’esterno che all’interno.

Chiesa di Santa Maria del Mastro
Fu fondata in epoca normanna nel 1083-1084 e dedicata ai megalomartiri Eustrazio e Caterina. Scavi effettuati dalla Soprintendenza Archeologica della Calabria, hanno portato alla luce diversi ossari, ceramica varia, stucchi decorati del XII secolo. Il materiale proveniente dagli ossari si può dividere in due gruppi: materiale di uso quotidiano e materiale rituale. Nel primo gruppo è compresa una discreta quantità di fibbie bronzee o in ferro, bottoni in bronzo o in legno, anelli bronzei, spilloni e fermalacci, tutte facenti parte dei corredi degli inumati; nel secondo gruppo frammenti di reliquari, alcuni grani di rosario ed una serie di medagliette religiose bronzee.

Convento dei Cappuccini
Di stile semplice è il complesso conventuale dei Cappuccini alla Piana. La chiesa col titolo di S. Maria La Nuova fu assegnata nel 1534 ai frati, i quali edificarono il convento che nel corso del XVII sec. fu completato nella sua struttura quadrilatera. Appartenenti alla chiesa sono l’altare maggiore e i due laterali dedicati a S. Felice da Cantalice e S. Pasquale Baylon in noce ed un ciborio con tarsie in avorio e madreperla, realizzati nel 1720 da fra’ Ludovico da Pernocari, attualmente dislocati in altre chiese geracesi in attesa di essere ricomposti nella sede originaria.

Monastero di Sant’Anna
Sopra le Bombarde (così chiamate per l’evidente presenza nel passato di armi da fuoco), si staglia il Monastero di S. Anna fondato nel 1344 dal geracese Zaccaria Carbone. Passato dalle monache brasiliane alle agostiniane, nel 154 furono incorporate le moniali di S. Veneranda e nel 1734 quelle del monastero della S. Annunziata, e nel 1797 le brasiliane di S. Pantaleone. Sull’altare maggiore della chiesa dedicata a S. Giovanni Battista, vi è una pala d’altare rappresentante S. Anna in trono tra Angeli. Ai due lati sono poste due statue del 1593 in marmo bianco, degne di attenzione, raffiguranti S. Giovanni e S. Maria de Jesu. Del ricco patrimonio di questa chiesa fanno parte le tele raffiguranti S. Pantaleone (XVI sec.), S. Caterina d’Alessandria (XVII sec., proveniente dall’omonima chiesa), S. Domenico Guzman (XVIII sec.), la SS. Trinità. Ed ancora: la Divina Pastora (dipinto su legno del XV secolo), un crocefisso ligneo del XVIII secolo, la statua lignea di S. Chiara (XVIII sec.), il busto a tutto tondo in argento raffigurante S. Veneranda attribuiti al messinese Sebastiano Juvarra del 1704, il reliquario di S. Pantaleone.

Chiesa San Francesco
Voluto da Carlo II nel 1294, così come attesta l’unico documento di cui si è in possesso, l’edificio rientra nella grande campagna costruttiva propria del sovrano napoletano. Nonostante questa affermazione, un’analisi della chiesa, la cronologia relativa proposta per le varie parti definenti l’intero edificio e i confronti operati con molte strutture ecclesiastiche nel Regno proprie dell’azione di Carlo e di Roberto, portano a riconoscere, anche a Gerace, un evento architettonico posto a cavallo tra i due diversi sovrani, di cui uno è riconosciuto come fondatore e un altro come esecutore. Pensare, infatti, a due fasi costruttive decisamente circoscrivibili, una delle quali riguarderebbe la concezione e la realizzazione della chiesa sotto Carlo II e un’altra ove sia riconoscibile il linguaggio di Roberto, è assolutamente impossibile; per contro, nonostante il documento del 1294 attesti la committenza del primo sovrano, non si riscontrano, in realtà, modi compositivi e concezioni spaziali tipici dell’architettura carolina.
A causa di ciò, quindi, si preferirà parlare di una sola fase angioina dove, sull’organismo fondato da Carlo II si inseriscono, concorrendo a raggiungere una compiutezza formale, quelle definizioni architettoniche e spaziali nuove, figlie della congiunta azione pauperistica francescana e di Roberto e Sancia d’Angiò, con tutte le componenti legate a sperimentazioni spaziali e richiami ad apparati teorici e teologici presenti in Santa Chiara a Napoli.
La trecentesca chiesa di San Francesco di Gerace appare, quindi, come un edificio “in divenire”; in tal senso, l’ipotesi ricostruttiva della struttura angioina parte da una sorta di “traccia di progetto” legata a Carlo II e ai minori e si completa attraverso l’evidenziazione dei mutamenti di essa, dovuti sia ad eventuali elargizioni di committenze nobiliari sia ad interventi significanti, in senso minoritico o comunque religioso, legati alle figure di Roberto il Saggio e della moglie.
La ricostruzione della chiesa angioina dimostra che essa si presentava come frutto di una composizione estremamente semplice, con più volumi di altezza e dimensioni differenti, assemblati secondo direttrici geometriche e teologiche precise, dichiaranti apertamente l’appartenenza ad un ambiente certamente meridionale (locale e napoletano). La chiesa si trova presso il limite nord-occidentale della città fortificata, seguendo un orientamento ovest-est, sfruttando una preesistenza appartenente all’epoca sveva che, mutata rispetto alla sua ragion d’essere primitiva, viene trasformata in una sostruzione volta solo ad ovviare all’eccessiva pendenza del terreno.

Porte Urbiche
Le porte urbiche di Gerace erano 12 suddivise in due gruppi: il gruppo delle porte interne racchiudeva la parte interna della città detta città del Sole, il gruppo delle porte esterne era sito nelle mura urbiche ed era inserito nel sistema di prima difesa della città. Le porte urbiche apertesi direttamente nelle mura erano: porta del Cofino, porta del Ponte, la porta Maggiore o del Borghetto, la Portella o porta della Piana, la porta di Santa Barbara, e la porta della Sideria.
All’interno della città vi erano altrettanto porte che rendevano sempre più difficile il raggiungimento del cuore della città, costituito dalla Cattedrale e Castello. Chi entrava dalla porta del Borghetto, s’imbatteva, quasi in cima a questo piccolo quartiere di Gerace, nella porta del Ponte, sulla quale faceva spicco il millesimo ‹‹1503›› e, accanto alla quale era l’altra dello stesso nome, che invece si apriva nelle mura su un piano più basso.
La via del borghetto attraverso la porta interna del ponte, dava nello spiazzo sul quale sono: l’edificio che fu sede dell’ospedale di San Giacomo, l’inizio di via Santa Lucia, e l’inizio della passeggiata delle Bombarde. La via di Santa Lucia era custodita dalla porta di Tracò ed aveva in fondo un’altra porta protettiva la porta di Santa Lucia. Proseguendo verso l’interno della città si attraversa prima la porta del Sole o delle Bombarde, la non più esistente porta Grande e la Porta dei Vescovi. Ognuna delle porte urbiche, nel passato era guarnita da strutture religiose. In fase magno greca troviamo un Ninfeo sia presso la porta del Cofino che presso la porta di Santa Lucia; in fase cristiana, il Ninfeo del Cofino accoglie culti cristiani e nel medioevo diviene soccorpo della chiesa di San Nicola (del Cofino). Presso la porta di Santa Lucia sorgevano le chiese cavernicole di Santa Lucia e di Santa Maria Nives. Tutte le altre porte hanno avuto anche la loro chiesa.

Palazzo Lombardo
Ha due piani più un seminterrato. La facciata principale è simmetrica, presenta lesene e balconi angolari mentre il portale è in pietra sagomata.

Palazzo Del Balzo
Questo antico palazzo nobiliare ha una corte dalla quale parte la scala principale con tre ordini di arcate. L’esterno è in intonaco misto e la copertura a falde con tegole.

Palazzo Candida
La pianta è complessa, ha una corte e piccoli giardini. E’ costruito su due livelli: al piano terra ci sono ampie arcate e sopra, balconi con mensole scolpite.

Palazzo Caracciolo-Capogreco-Manfrè (conosciuto come Palazzo degli Svizzeri)
E’ articolato su due livelli con una corte centrale con doppia scala a tre rampe. L’atrio ha una volta a botte su cui è stato dipinto lo stemma familiare. Particolare è il piano di calpestio, in ciottoli di fiume.

Palazzo Macrì
Palazzo a corte, presenta un portale scolpito con motivi floreali. La copertura è a falde con tegole.

Palazzo Via IV Novembre
Si presenta come un grande blocco quadrangolare con giardino. La facciata ha linee semplici, con un portale in pietra sagomata ed un solo balcone con cornice centinata.
La copertura è a falde con tegole.

Palazzo Migliaccio
La facciata è simmetricamente articolata. Il portale ha una doppia cornice in pietra sagomata con stemma nobiliare, ai lati due aperture squadrate e, al primo piano, tre balconi con mensole. La copertura è a falde con tegole.

Palazzo Oliva di Grimaldi-Serra
Palazzo nobiliare a corte costruito nel XVIII secolo. Conserva un portale in pietra sagomata con stemma in chiave. Sopra, due finestre binate archiacute. La copertura è a falde con tegole.

Palazzo Del Tocco (già Grimaldi-Serra)
A pianta rettangolare, ha una facciata asimmetrica con uno zoccolo per colmare il dislivello. Il portale presenta due semicolonne con capitello, in alto una trabeazione. L’androne è coperto a volta, da dove parte il vano scala.

Palazzo Scaglione
Palazzo nobiliare a corte su due piani. Ha un grande cortile d’ingresso e un giardino che giunge fino alle Bombarde. La facciata ha linee semplici. Avrebbe alloggiato qui lo scrittore inglese Edwad Lear. Una targa ricorda l’onorevole Gaetano Scaglione, nato in questa casa il 31 ottobre 1852.

Palazzo Arcano
E’ un edificio a corte su due piani. Il portale è a conci scalpellati e rappresenta il ciclo della vita. In basso a sinistra è scolpito il bambino, a metà il giovane e sulla chiave di volta colui che parla e agisce, cioè l’adulto. A destra, a metà, il teschio e la morte, quindi la vecchia; in basso la metamorfosi e le foglie di acanto, simbolo della vita eterna.
Sopra il portale si nota un lungo balcone. L’androne del palazzo ha una copertura a botte incannucciata.

Palazzo Capogreco
A pianta regolare. La facciata presenta doppie lesene e balconi con mensole in pietra scolpita. L’esterno è in intonaco misto, la copertura a falde con tegole.

Palazzo Delfino
La particolarità di questo palazzo di epoca rinascimentale, in una traversa di Largo Barlaam, sono le due bifore ogivali bicolori, in calcare e pietra lavica, che creano un’alternanza cromatica tra il bianco e il nero.

Casa Oliva (ex monastero delle Clarisse)
L’edificio, oggi di proprietà privata, un tempo ospitava l’ordine religioso delle Clarisse. Degni di nota sono il cortile interno ad archi, dove sono visibili alcuni frammenti lapidei e un’iscrizione di età imperiale.

Casa Marvasi
Edificio medievale su due livelli. Il portale, al centro della facciata, è archiacuto a conci irregolari. Sopra, una splendida bifora con colonnetta centrale e capitello in marmo bianco. L’esterno è in intonaco misto, la copertura a falde con tegole.

Casa Trombì
Presenta una pianta trapezoidale. Il portale ha una doppia cornice in pietra sagomata. La copertura è a falde con tegole.

Casa Gratteri
A pianta trapezoidale, ha un androne quadrangolare coperto da una volta a crociera. Il portale lapideo è a conci d’imposta sagomati.

Casa Rodi
Conserva un portale in pietra squadrata con archetti pensili su mensole di pietra scolpita. La copertura è a falde con tegole.

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La Calabria ha il suo Diamante affacciato sul Tirreno

Anche la Calabria ha il suo Diamante. Affacciato sul Mar Tirreno nel cuore della Riviera dei Cedri in provincia di Cosenza, questo paese di mare ha un nome a dir poco evocativo. Diamante custodisce gelosamente ben 8 chilometri di spiagge incontaminate oltre all’isola di Cirella, con la sua flora selvaggia e i fondali dai colori straordinari grazie alla Posidonia argentata che qui cresce rigogliosa. Nella parte antica merita una visita la chiesa dell’Immacolata Concezione, costruita nel XVII secolo e restaurata nel 1787 e nel 1880, oltre ovviamente al Lungomare Vecchio, soprastante la scogliera antistante il porto. Cittadina nota per i suoi particolari murales e per il cedro (va assolutamente assaggiato il liquore artigianale ottenuto tramite l’infusione della corteccia di questo particolare agrume), oltre che per la cucina di pesce che si basa fortemente su una specialità locale come la rosamarina (bianchetto che viene fritto o unito al pepe per creare una deliziosa salsa), Diamante organizza ogni estate il festival “Calici sotto le stelle”, per scoprire le perle dell’enologia calabrese, e a inizio settembre l’irresistibile “Festival del peperoncino”.

 

Morano Calabro, un “presepe” ai piedi del Pollino

E’ considerato uno dei borghi più belli d’Italia, arroccato su un colle a 700 metri di altezza e circondato dal massiccio del monte Pollino. E’ Morano Calabro, noto per le sue caratteristiche abitazioni del centro storico, sembrano ammucchiate le une sulle altre dal basso verso la cima, su gradoni più larghi che vanno via via restringendosi a formare una sorta di cono sulla cui cima sorgono i ruderi di un antico castello che dominano tutta la valle. Il borgo conserva un impianto tardomedievale ed è attraversato da un labirinto di viuzze e scalinate, in parte scavate nella roccia, che si inerpicano e si aprono davanti alle chiese e ai palazzi signorili. Al suo interno meritano una visita la chiesa di San Pietro e Paolo, che risale all’anno mille con il campanile di epoca medioevale; nella piazza principale sorge invece la Collegiata di S. Maria Maddalena, di epoca bizantina, con un imponente cupola e il campanile ricoperti di maioliche di colore verde-giallo visibili da ogni angolo del borgo: la chiesa custodisce al suo interno molte opere lignee della fine del ‘500 e inizio ‘600 come il Fonte Battesimale, l’Acquasantiera, il soffitto a cassettoni della sacrestia e la scultura della Maddalena. Adiacente si trova la chiesa del Carmine, dove i padri carmelitani avevano annesso un ospedale in soccorso dei viandanti in Terra Santa, ora sede municipale. Il tutto senza dimenticare la Chiesa di San Nicola di Bari, la Chiesa e Monastero di San Bernardino da Siena, uno dei migliori esempi di architettura francescana in Calabria del ‘400, e ancora il Convento dei Cappuccini, che sorge a valle del centro storico.

 

La Calabria dal mare di Crotone alla “capitale” della Sila

Dal mare della Magna Grecia alle montagne della Sila nell’arco di pochi chilometri. C’è tutta la bellezza e la varietà paesaggistica della Calabria nel percorso che conduce da Crotone a San Giovanni in Fiore, passando per Santa Severina e Caccuri. Un itinerario che non partire da Crotone, culla della Magna Grecia e seconda casa di Pitagora, che conserva lo splendido Duomo di San Dionigi risalente al IX secolo, la Chiesa dell’Immacolata, la Chiesa e il Convento di Santa Chiara; senza ovviamente dimenticare il Castello a pianta poligonale, mentre dell’antico Santuario di Hera Lacinia oggi rimane solo una colonna del tempio costruito nel 470 a.C. Lasciata Crotone il viaggio prosegue alla volta di  Santa Severina, cittadina dal passato bizantino e normanno edificata su un’alta rupe, dalla quale si può godere di una bella vista sulla Valle del Neto; il vecchio quartiere bizantino è denominato Grecia, e qui si possono ammirare diverse case scavate nella roccia e abbandonate nel 1783 dopo il terremoto; meritano sicuramente una visita anche la Cattedrale, il Battistero, il Castello e il Palazzo Arcivescovile, che ospita il Museo diocesano. Terza tappa del viaggio è il borgo di Caccuri, un piccolo gioiello con le strade di pietra levigata che conducono all’imponente Castello, che custodisce anche la Chiesa Arcipretale di Santa Maria delle Grazie e la Chiesa di Santa Maria del Soccorso. Ultima tappa del breve viaggio, con un dislivello altimetrico e climatico non indifferente, porta in montagna e nella “capitale” della Sila: San Giovanni in Fiore è un luogo mistico e affascinante, legato alla figura di Gioacchino da Fiore, citato da Dante Alighieri nella Divina Commedia. Qui è possibile ammirare l’Abbazia Florense, il primo edificio che nacque sul territorio silano e da cui poi si sviluppò la città, insieme all’Arco Normanno e a Piazza Abate Gioacchino, dove si affaccia la Chiesa Madre.

 

 

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Il Parco Nazionale del Pollino custodisce il suo “tesoro”: il Pino Loricato

E’ uno dei Parchi Nazionali più “giovani”, essendo stato creato solo nel 1993, ma con i suoi 192.000 ettari è il più grande d’Italia: è il Parco Nazionale del Pollino, un gioiello che domina dall’alto il mar Tirreno e il Mar Ionio a cavallo tra la Basilicata e la Calabria. Un enorme polmone verde dalle alte vette e dalla natura incontaminata del quale fanno parte ben 56 Comuni, 32 nel versante calabro e 24 in quello lucano. Un luogo magico che custodisce gelosamente il suo gioiello più grande: il pino loricato.

Si tratta di una sorta di “fossile vivente” che sopravvive solo nel Parco ma che, in epoche remote, era sviluppato lungo tutte le coste italiane e balcaniche fino al mare Adriatico: una specie dalle grandi capacità di adattamento che assume forme uniche a causa delle particolari condizioni nelle quali vive, a picco rocce esposte del massiccio montuoso tra gli 800 e i 2200 metri di altezza. E anche il particolare nome si deve alle incredibili forme che assume la sua corteccia, specialmente negli esemplari ultracentenari, che ricorda la corazza dei guerrieri romani (detta appunto la lorica) o la pelle di grandi i rettili.

E così, partendo da Piano Ruggio, si possono ammirare vaste praterie e antichi fenomeni carsici fino a raggiungere il Belvedere, un terrazzo panoramico utilizzato in passato come stazione della teleferica per il trasporto del legname. Da qui si gode di una meravigliosa vista sulla piana di Castrovillari e si possono ammirare splendidi esemplari di pini loricati sui costoni rocciosi di Serra del Prete.