La vita tradizionale sarda in mostra al Museo del Costume

Con 9 sale tematiche che custodiscono oltre 8.000 reperti risalenti al periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, il Museo del Costume di Nuoro rappresenta il più importante museo etnografico della Sardegna. Di grande impatto visivo è il complesso di edifici in cui si articola, disegnati dall’architetto Antonio Simon e concepiti per riprodurre la struttura di un villaggio sardo nel quale sono aggregate le caratteristiche architettoniche peculiari dei diversi centri isolani. Aperto nel 1976 con il nome di Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, lo spazio ha subìto un profondo restyling e ha riaperto le porte al pubblico il 19 dicembre del 2016: la nuova struttura offre una rappresentazione generale della vita tradizionale dell’isola, dal lavoro alla festa, attraverso la testimonianza dei modi dell’abitare e del vestire, dell’alimentazione, della religiosità e dell’immaginario popolare. La parte più consistente delle collezioni è costituita dagli abiti tradizionali, sia maschili sia femminili, che provengono soprattutto dai paesi della Barbagia: spiccano gli abiti da sposa e l’elegante corpetto femminile nuorese di fine Ottocento, che veniva indossato sopra il giubbetto ed era confezionato in tessuti preziosi come i broccati. Moltissimi sono poi gli accessori dell’abbigliamento come cuffie, copricapi, catenelle, bottoni e gemelli in argento, gli amuleti e i materiali tessili. E ovviamente non manca una sezione dedicata alle maschere tradizionali del Carnevale barbaricino, nonché l’esposizione di pani festivi e cerimoniali e di dolci del Nuorese.

 

 

Castiglion Fibocchi e il maestoso Palazzo Comunale

E’ una delle perle del Valdarno Superiore, splendido territorio toscano che sorge tra Firenze, Arezzo e Siena. Il borgo di Castiglion Fibocchi si trova lungo la strada dei Setteponti e conserva ancora con cura le tracce di un nobile passato. E’ il caso del Palazzo Comunale, in pietra martellata e stuccata a conci regolari con coronamento merlato, sormontato dalla torre dell’orologio. Passeggiando per le viuzze del centro storico ci si imbatte nei resti delle mura castellane e nella suggestiva Porta Fredda, risalente al XII Secolo. Le origini del centro risalgono infatti al XII Secolo, quando veniva identificato col nome di “Castiglione in Val d’Arno”: l’antico abitato era racchiuso in una cinta muraria difesa da 7 torri e con 2 porte d’accesso: la Porta Fredda appunto, e la Porta del Sole. Di particolare fascino sono anche i resti di Villa Cassi e Villa Occhini. Grande interesse costituisce la chiesa di San Pietro a Pezzano del XII secolo con affresco attribuibile a Spinello Aretino. Sulla collina si possono osservare i ruderi di San Quirico, la pieve paleocristiana di cui si hanno testimonianze già dal XI Secolo. Percorrendo la strada dei Setteponti, inoltre, si possono ammirare alcuni resti della tipica edilizia rurale: case lopoldine, con la colombaia, la loggia e il portico, fra le più belle della zona.

La chiesa di Sant’Antonio di Padova a Città Sant’Angelo

Qui, un tempo, sorgeva un ricovero di Clarisse, abbandonato intorno alla metà del XIV Secolo. Dopo quasi 100 anni, si decise di dare vita a uno dei monumenti religiosi più ammirati di tutta la provincia di Pescara: la chiesa di Sant’Antonio di Padova a Città Sant’Angelo. Fu l’Ordine dei Minori Osservanti che, dietro assenso di Papa Pio I nel 1458, provvide a riadattare ed ampliare il convento semidistrutto con annessa chiesa, che fu intitolata a San Bernardino e ripopolata, nel 1460, grazie all’arrivo di 12 confratelli. Nel 1627 il convento passò ai Frati Riformati, comunemente detti “zoccolanti”, che lo ampliarono nel 1692 e con successivi lavori nel 1782 e nel 1807; nel 1837 divenne luogo di studi teologici. Recente restaurata a cura della Confraternita di S. Antonio di Padova, la chiesa è a navata unica con pareti ornate da stucchi di epoca barocca; sul lato sinistro si aprono due ampie cappelle, nella prima si conservano le reliquie di San Felice Martire, mentre la seconda è dedicata a Sant’Antonio e da qualche anno custodisce anche una reliquia del Santo donata dall’omonima Basilica di Padova.

Il Convento di San Francesco a Casanova di Carinola

In questo angolo della provincia di Caserta, San Francesco d’Assisi è passato lasciando tracce indelebili. Qui, a pochi passi da dove oggi sorge il Convento a lui dedicato, è ancora possibile ammirare la grotta che, scavata in un buco di roccia, fu giaciglio del Santo. C’è addirittura chi pensa che il complesso monumentale – tra i più conosciuti e frequentati della zona – sia stato fondato dal frate stesso, e non dai suoi seguaci. Certo è che il Convento di San Francesco a Casanova di Carinola risalga al XIII secolo, adagiato su una collinetta nel centro del paese dalla quale si domina tutta l’omonima piana. Interamente costruito in muratura di tufo grigio, si compone della Chiesa a due navate e del Convento arricchito dal prestigioso chiostro. Il Monastero è stato regolarmente abitato dai frati francescani fino al 1813 quando venne chiuso in seguito alla legge napoleonica che aboliva le corporazioni religiose. Riaperto da Re Ferdinando II su pressione del popolo, fu nuovamente chiuso da una legge del regno d’Italia del 1861 e ancora riaperto nel 1948 dalla comunità dei frati minori i quali tuttora ne detengono l’esercizio del culto. Casanova di Carinola è un paese famoso per aver dato i natali a Padre Michele Piccirillo, archeologo e teologo francescano scomparso recentemente. Al suo interno meritano anche una visita Palazzo Marzano, la Cattedrale risalente al XI Secolo e l’affascinante Epigrafe Sinuessana.

A Volterra alla scoperta dei Musei della terra degli Etruschi

Conoscere arte, cultura, natura, storia e stili di vita di un territorio piccolo ma dal passato glorioso e dalla grande ricchezza culturale e naturale. E’ quanto permettono di fare i Musei della terra degli Etruschi, un complesso sistema museale articolato tra Volterra e la Val di Cecina. Collezioni imperdibili, allestite in magnifici luoghi, raccontano arte e storia, natura e cultura, spiritualità, stili di vita e tradizioni: tutto questo e molto altro attendono i visitatori in ben 15 musei e 4 aree archeologiche, in grado di completare le visite dei viaggiatori amanti dell’approfondimento, sia divulgativo che specialistico. Molti musei sono concentrati nella città di Volterra, che è sempre stata il principale centro economico e culturale dell’area: il primo ad essere costituito, nel 1761, fu il Museo Etrusco Guarnacci, seguiti poi dagli altri musei della cittadina e da quelli che si trovano negli altri centri del territorio, che sono testimonianza soprattutto delle attività produttive della Valle. Fin dal 1992 i musei volterrani hanno costituito un sistema museale, con un unico biglietto e orari e progetti coordinati. Si tratta di uno dei primi sistemi museali della Toscana, precursore delle attuali tendenze espositive e che ha fatto da esempio per la costituzione di altri sistemi simili in altre aree.

Il Museo dei Pupi Siciliani di Siracusa

Nato in via della Giudecca non distante dal più famoso Teatro dei Pupi, il Museo dei Pupi Siciliani di Siracusa sorge all’interno del suggestivo palazzo Midiri-Cardona, ripercorrendo attraverso l’esposizione di pupi, marionette, oggetti di scena e materiale scenografico i punti salienti della storia dei fratelli Vaccaro, famosi pupari della città siciliana. Varcata la soglia dello spazio museale, i visitatori vengono letteralmente trascinati all’interno di un mondo fantastico, dove trovano posto cavalieri cristiani e saraceni, maghi, streghe e creature mostruose. Un percorso arricchito da schede storiche che ripercorrono i punti salienti della loro storia: il laboratorio di vicolo dell’Ulivo, l’esordio nel 1978, la nascita del loro teatro, i progetti incompiuti e la loro fine. Il Museo sorge inoltre in un contesto davvero unico, nel cuore del quartiere ebraico, fra balconi barocchi, chiese paleo-cristiane e vicoli fioriti. Da diversi anni lo spazio organizza visite guidate per singoli, famiglie, tour operator e singoli gruppi, mentre nel teatro situato nelle vicinanze è possibile vedere i pupi in azione.

 

La Pieve di Santo Stefano, gioiello di Candelara

E’ castello antichissimo, nominato in alcuni documenti sin dal 1209. E’ Candelara, grazioso borgo in provincia di Pesaro e Urbino il cui nome significa “candida aria”, cioè aria fulgente. Qui merita una visita la Pieve di Santo Stefano, da sempre al centro della vita religiosa del centro marchigiano. La struttura ha origini molto antiche, risalenti al VI-VII Secolo. L’attuale costruzione presenta una struttura muraria gotica con un’insolita pianta che richiama la croce greca. La facciata è caratterizzata da quattro lesene verticali e da due finestroni con arco a sesto acuto negli scomparti laterali, che affiancano la meridiana. Entrando è possibile ammirare sulla a sinistra un Santo vescovo, forse identificabile in Sant’Emidio protettore dei terremoti o San Apollinare, primo Vescovo di Ravenna, data la presenza di tre piccole croci greche-bizantine. A destra, invece, ecco un altro frammento di affresco: la Crocefissione con la Vergine Maria e l’apostolo Giovanni, del 1504; accanto il Matrimonio mistico di Santa Caterina e San Giovanni Battista, opera eseguita nel 1555 da Ottaviano Zuccari (padre dei più famosi Taddeo e Federico). La tavola sull’altare sinistro del transetto, invece, si può ammirare una delle opere più importanti della Pieve: la Madonna col Bambino e i santi Stefano e Donnino, di Pompeo Morganti da Fano.

 

La Val Gardena si svela all’interno del Museo di Ortisei

Dalla formazione delle montagne dolomitiche alla documentazione dell’alpinista Luis Trenker, da sculture sacre e profane ai presepi, fino a reperti archeologici e antichissimi minerali. Insomma, una ricca selezione di tutto il meglio che la Val Gardena ha prodotto nel corso dei secoli, racchiusa all’interno del Museo della Val Gardena di Ortisei. Inaugurato nel 1960, è organizzato in diverse sezioni e le sue collezioni coprono un arco cronologico eccezionale, che parte da 200 milioni di anni fa e arriva sino ai giorni nostri. Grande spazio è dato all’arte dell’intaglio in legno, una tradizione lunga più di quattro secoli. Il museo possiede un numero sorprendente di oggetti di inestimabile valore, tra cui la grande Tela Quaresimale di San Giacomo del 1620 proveniente dalla chiesa medioevale di San Giacomo, monumento culturale unico del suo genere conservatosi in Alto Adige, ed i rarissimi disegni a sanguigna del 1490 del maso Bierjun vicino ad Ortisei. Nel Museo si trova inoltre la più ricca collezione scientifica sulle Dolomiti occidentali in Alto Adige: bellissimi fossili di piante e animali terrestri e marini documentano l’evoluzione e il processo formativo delle montagne dolomitiche nell’arco di 250 milioni di anni.

Un viaggio nel tempo nel Geoparc Bletterbach di Aldino

Un viaggio a ritroso nel tempo nel cuore della provincia di Bolzano. Il Geoparc Bletterbach di Aldino, piccolo borgo che sorge a Sud-Est del capoluogo regionale del Trentino-Alto Adige, si estende su una superficie di 818 ettari e fa parte delle Dolomiti Patrimonio Mondiale Unesco. Nel suo paesaggio unico si trovano fossili di piante e orme di sauri, mentre nel centro visitatori sono illustrate una geologia e una geomorfologia del tutto particolari. Oltre 15.000 anni fa ad Aldino, infatti, il piccolo Rio Bletterbach iniziò a scavare la terra su una lunghezza di otto chilometri, incidendola a 400 metri di profondità e dando origine ad una magnifica gola, unica del suo genere in Europa.
La discesa nella profondità del canyon della gola del Bletterbach, della durata di circa mezz’ora, mostra 250 milioni di anni di storia della terra: pietre che risalgono a milioni di anni fa, orme di sauri, piante fossilizzate, molteplici tracce di cibo e di scavo e sedimentazioni marine con conchiglie, chiocciole e ammoniti che vissero nei mari tropicali delle Dolomiti milioni di anni fa illustrano la storia movimentata del nostro pianeta.

Le 44 chiesette votive delle Valli del Natisone

Sono note come “Le sentinelle delle Valli”, come “vedetta sulle principali cime” o ancora “inaccessibili”. Di certo le 44 chiesette votive delle Valli del Natisone (a cavallo tra il Friuli-Venezia Giulia e la Slovenia) costituiscono un grandissimo patrimonio artistico poco conosciuto presso il grande pubblico. Sorsero nel Sec XIII e XIV e presentavano una costruzione primitiva di tipologia romanica con presbiteri semicircolari. Dopo il terremoto del 1348 che richiese una ricostruzione delle Chiesette, in queste valli si affermò lo stile proveniente dalle vicina Slovenia e conosciuto come il “Gotico Fiorito”, di cui uno dei principali artefici di questa scuola fu Peter Parler. In alcune Chiesette si possono ancora ammirare affreschi del Sec XVI di Scuola Slovena di Jernei da Skofia Loka, e altari lignei dorati sempre Scuola Slovena del Sec XVI. Raggiungere queste chiesette, meglio se in modo “lento”, a piedi, in bici o a cavallo, permette di immergersi nella cultura materiale e spirituale del popolo della Slavia Friulana: giunti in questi luoghi, si potrà “respirare” la spiritualità di queste comunità, intessuta di affidamento ai santi per le difficoltà della vita e di intensa gratitudine per tutti i doni della natura.