Uomo e natura in mostra all’Ecomuseo del Vajont

L’uomo e la natura che lo circonda non sono mai stati così vicini. La storia del Comune di Erto e Casso, oggi parte dei Borghi Autentici d’Italia, è stata segnata nel 1963 dall’immane tragedia della diga del Vajont. Ma la popolazione di questo tratto della provincia di Pordenone ha avuto il coraggio di ripartire, e l’Ecomuseo del Vajont rappresenta per i visitatori un’occasione unica per scoprire i segni indelebili lasciati dalla natura e dagli uomini in questo territorio. E’ il legno il filo conduttore del museo che custodisce la storia del paese. Qui il noto scrittore Mauro Corona ha dato la parola agli alberi con “Voci del Bosco”, il percorso audio-sonoro accessibile con le cuffie sensoriali, mentre l’incanto dei boschi ertani si svela attraverso “La magia del legno che diventa carbone”, mostra dedicata all’antico mestiere del carbonaio. Il legno diventa anche giocattolo, culla e suole delle scarpe nella mostra dedicata al bambino; oppure oggetto da vendere, carretto e cassettiera sulle spalle dei coraggiosi venditori ambulanti nel percorso tematico “Partire partirò partir bisogna…”. All’interno dell’Ecomuseo sono inoltre esposte le opere lignee di tutti gli artisti che hanno partecipato al Simposio di Scultura di Erto che si tiene ogni anno, e che celebra la continuità di vita dopo l’anniversario della catastrofe del Vajont.

 

In Sicilia alla scoperta delle chiese di Caccamo

Caccamo, uno dei borghi più belli della provincia di Palermo, ha nelle chiese alcuni dei suoi gioielli più prestigiosi. A partire dalla Chiesa in Santa Maria degli Angeli, con il suo portale in pietra dell’ingresso centrale sovrastato da una nicchia dove si può ammirare un altorilievo in marmo del XVI secolo che raffigura la Vergine col Bambino di autore ignoto; oltre al caratteristico tetto a capriate della navata centrale, dipinto a decorazioni policrome con episodi della vita dei Santi Domenicani, conserva al suo interno una splendida Madonna col Bambino di Antonello Gagini, risalente al 1516. Nel quartiere di Curcuraccio, nel 1510, fu eretta la Chiesa dei santi Michele e Biagio ad opera dell’omonima Arciconfraternita, il cui altare maggiore è adornato da una grande pala dipinta su tela raffigurante la Madonna degli Angeli col Bambino tra i Santi Michele e Biagio. Affascinante e misteriosa è invece la storia della Chiesa dei SS. Apostoli Filippo e Giacomo, che sorge ai margini del torrente Canalotto; di antichissime origini, conserva al suo interno l’effige di un miracoloso Crocifisso in legno molto venerato dalla popolazione: un’antica tradizione vuole che l’autore dell’opera sia stato lo stesso San Luca, che scolpì il Crocifisso direttamente nel tronco di un albero. Ultima tappa del tour è la Chiesa di San Benedetto alla Badìa, di chiaro settecentesco: di pianta rettangolare con una sola navata senza cupola, ha l’altare maggiore che rappresentava la cappella di un convento femminile per fanciulle di famiglie benestanti, tra le quali fu Suor Felicia Enriquez de Cabrera (1580-1615) morta in fama di santità.

La via Dauna, in viaggio tra Puglia e Basilicata

Non una semplice strada, quanto piuttosto un viaggio a ritroso nel tempo a cavallo tra la Puglia e la Basilicata: la via Dauna attraversa gli splendidi paesaggi dei monti Dauni, in un percorso in cui ogni località è un “quadro” di storia. Un itinerario alla sua scoperta può partire da Lucera, che alla confluenza delle valli molisane e campane domina il Tavoliere: una posizione decisamente strategica, come dimostrano le tracce di villaggi neolitici nel III millennio a.C.; fedele alleata di Roma, Lucera fu nel Medioevo valorizzata da Federico II e divenne il centro dei musulmani fedeli agli Svevi, tanto da essere conosciuta come la Cordova di Puglia. A Melfi (nella foto) antica capitale della Contea di Puglia, si può ammirare uno dei più importanti e articolati castelli medievali italiani costruito alla fine dell’XI secolo dai Normanni. La città è stata sede tra il 1050 e il 1137 di cinque concili indetti da cinque Pontefici diversi (oltre a quello del 1130 convocato da un antipapa): evidentemente già da allora era ospitale e con ottimo cibo. Poco dopo Venosa, patria natale di Orazio – nel complesso della Trinità i maestosi resti della Chiesa dell’Incompiuta sono un esempio di come anche allora per beghe di potere opere importanti siano rimaste in sospeso – la Via Daunia si ricongiunge alla Sveva verso Matera.

 

La Valle del Sasso e il Sentiero dei 4444 scalini

Prendete un bel respiro (forse anche qualcuno in più) e partite alla scoperta di uno dei sentirti più suggestivi della provincia di Vicenza: quello dei 4444 scalini. Correva l’anno 1398 quando, sotto la signoria di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, fu resa percorribile la valle del Sasso, che costituiva la via più breve per scendere nel Canale dall’Altopiano di Asiago. Ne risultò una lunghissima scalinata, scavata nella roccia, che superava i settecentocinquanta metri di dislivello della valle con 4444 gradini di pietra, fiancheggiati da una canaletta selciata concava per la quale venivano divallati i tronchi. Dopo l’ingresso su una stradina serrata, dal fondovalle si incrocia questa scalinata, che si incunea nel canyon, largo solo qualche metro, snodandosi attraverso gole, strapiombi e pareti rocciose, fino a sbucare in una location bucolica, un piccolo eden, dove un prato idilliaco spunta in mezzo ad una radura di abeti. La scalinata è un’opera dello storico ingegno umano, che non distruggeva la natura concomitante, ma la rendeva sua alleata, facendo di necessità virtù.

Giardini botanici di Merano: piante da tutto il mondo

Riuniscono in un anfiteatro naturale paesaggi esotici e mediterranei, vedute mozzafiato sugli scenari montani circostanti e su una Merano baciata dal sole. Sono i Giardini di Castel Trauttmansdorff della città termale dell’Alto Adige, che si estendono su una superficie complessiva di 12 ettari; al loro interno prosperano e fioriscono piante da tutto il mondo, una particolarità di grande fascino per visitatori di ogni età, appassionati di botanica o gente comune. Gli ottanta singoli giardini tematici sono organizzati in 4 “mondi di giardino” diversi. I primo sono i giardini del sole, posizionati sotto il castello ed orientati verso sud: qui si trova tra l’altro il giardino proibito con piante mistiche e velenose, un olivo di settecento anni, cactus e limoni. In primavera qui si trovano decine di migliaia di tulipani in fiore. I secondi sono i boschi del mondo, sul lato settentrionale del castello, che mostrano piante, fiori ed alberi di tutto il mondo: dal giardino giapponese alla spiaggia delle palme, è possibile di visitare uno rarissimo esemplare di Wollemia Nobilis. Poi ci sono i giardini acquatici e terrazzi, un mondo fatto di laghetti, labirinti, un palmeto con duecento palme ed il giardino dei sensi, pieno di piante aromatiche. L’ultimo “mondo” è dedicato ai paesaggi dell’Alto Adige e contiene vigneti, frutteti, un orto di montagna e boschi sudtirolesi tradizionali.

 

Merano vista dall’alto con la Passeggiata Tappeiner

E’ considerata la perla dell’Alto Adige, una cittadina di 40 mila abitanti nella quale convivono cittadini di origini italiane e tedesche. E’ Merano, con il suo centro storico medievale caratterizzato da portici e piazze ben curate, in un affascinante mix di vecchie mura, negozi moderni e accoglienti piccoli locali. Un modo originale per andare alla scoperta di questo gioiello è la Passeggiata Tappeiner, ideata e finanziata dall’omonomo medico alla fine del 1900: questa strada accompagna i visitatori a 380 metri di altezza sopra la città, da Est a Ovest, lungo un sentiero lungo 6 km. Molto curata in ogni dettaglio, la Passeggiata ospita 400 piante diverse ed è raggiungibile da diversi punti dal centro di Merano e da Gratsch (Quarazze). Grazie ai molteplici accessi dal centro storico, durante il tragitto si può decidere se fare tutto il percorso fino a Lagundo o fare solo il tratto più bello, quello tra centro storico e torre delle polveri, per poi tornare su uno dei sentieri nel centro di Merano.

 

Putignano, il Carnevale e la grotta del Trullo

La città per eccellenza del Carnevale pugliese sorge a pochi chilometri da Alberobello. Putignano è famosa in tutta Italia per le sfilate dei carri allegorici, ma non tutti sanno che – con la sua caratteristica struttura urbanistica medioevale – rappresenta uno dei centri storici più interessanti della zona. Percorrendo la “chiancata”, la lunga strada che in passato univa le due porte d’accesso alla città, si raggiunge Piazza Plebiscito, il cuore pulsante della cittadina: qui si affacciano la Chiesa Madre di San Pietro Apostolo, splendido esempio di romanico pugliese, il Palazzo del Balì, un tempo dimora dei Cavalieri di Malta e oggi sede del Museo Civico, e il Sedile, per tanti secoli sede del governo cittadino.

L’itinerario alla scoperta di Putignano può proseguire in direzione della Chiesa trecentesca di Santa Maria la Greca, nella quale sono custodite dal 1394 le preziose reliquie di Santo Stefano; appena fuori dal centro storico, nei pressi di Porta Barsento, merita una visita il Convento seicentesco di San Domenico: la facciata barocca apre a un interno decorato da eleganti stucchi e notevoli arredi sacri, tra cui un bel pulpito in legno dorato. A pochi chilometri di distanza dall’abitato, davvero imperdibile è la Grotta del Trullo, un tesoro sotterraneo di stalattiti e stalagmiti scintillanti dalle forme disparate e dai colori straordinari, rinvenuto per caso nel 1931 ed oggi meta di visitatori provenienti da ogni parte del mondo. L’entrata è protetta da un trullo costruito nel 1935 e una scala a chiocciola di 45 gradini, progettata dall’ingegnere Gaetano Palmiotto, consente di accedere comodamente alla grotta, regalando dall’alto una vista mozzafiato.

 

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La vita tradizionale sarda in mostra al Museo del Costume

Con 9 sale tematiche che custodiscono oltre 8.000 reperti risalenti al periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, il Museo del Costume di Nuoro rappresenta il più importante museo etnografico della Sardegna. Di grande impatto visivo è il complesso di edifici in cui si articola, disegnati dall’architetto Antonio Simon e concepiti per riprodurre la struttura di un villaggio sardo nel quale sono aggregate le caratteristiche architettoniche peculiari dei diversi centri isolani. Aperto nel 1976 con il nome di Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde, lo spazio ha subìto un profondo restyling e ha riaperto le porte al pubblico il 19 dicembre del 2016: la nuova struttura offre una rappresentazione generale della vita tradizionale dell’isola, dal lavoro alla festa, attraverso la testimonianza dei modi dell’abitare e del vestire, dell’alimentazione, della religiosità e dell’immaginario popolare. La parte più consistente delle collezioni è costituita dagli abiti tradizionali, sia maschili sia femminili, che provengono soprattutto dai paesi della Barbagia: spiccano gli abiti da sposa e l’elegante corpetto femminile nuorese di fine Ottocento, che veniva indossato sopra il giubbetto ed era confezionato in tessuti preziosi come i broccati. Moltissimi sono poi gli accessori dell’abbigliamento come cuffie, copricapi, catenelle, bottoni e gemelli in argento, gli amuleti e i materiali tessili. E ovviamente non manca una sezione dedicata alle maschere tradizionali del Carnevale barbaricino, nonché l’esposizione di pani festivi e cerimoniali e di dolci del Nuorese.

 

 

Mamoiada, Fonni e Gavoi, viaggio nel cuore della Barbagia

La prima testimonianza della presenza umana in quest’area risale alla preistoria. La Barbagia, d’altronde, rappresenta la Sardegna più aspra e selvaggia, in qualche modo più “vera”. Quella che gli Antichi Romani definivano “la terra dei barbari” era in realtà un’unica, misteriosa landa, fatta di montagne, grotte nascoste, selve impenetrabili e gole profonde; e ancora oggi, a distanza di tanti secoli, la Barbagia è una sorta di museo vivente che conserva la sua fiera natura e la sua naturale ospitalità. Un viaggio in questa terra non può che partire da Mamoiada, nota in tutta Italia per il particolarissimo Carnevale che vede protagonisti i Mamuthones e Issohadores (nella foto); una meraviglia che si può apprezzare tutto l’anno, visitando il Museo delle Maschere Mediterranee. E oltre al caratteristico centro storico nel quale spiccano la Chiesa di Loreto e quella dedicata alla beata Vergine Assunta, tutti i dintorni di Mamoiada meritano una visita, con tracce archeologiche risalenti al Neolitico come l’antica stele “sa perda pinta”, ovvero la pietra dipinta, oppure il nuraghe di Arrailo, nel Rione “sa Pruna”. A pochi chilometri di distanza sorge Fonni, famoso per essere il comune più alto della Sardegna, da dove partono le escursioni per il Gennargentu. Nel suo centro storico meritano una visita la chiesa di san Giovanni Battista in stile tardogotico, il santuario della Vergine dei Martiri, affiancato dal convento francescano e dall’oratorio di san Michele e il museo della Cultura pastorale, allestito in una casa padronale del 1800, dove è possibile rivivere lo scorrere della vita agro-pastorale che ha caratterizzato il paese. Il viaggio nel cuore della Barbagia termina a Gavoi, celebre per le sue prelibatezze gastronomiche, a partire dal famoso pecorino fiore sardo dop. Qui vale la pena visitare le chiese del Carmelo, di San Gavino, di San Giovanni Battista e di Sant’Antioco, oltre al Santuario campestre di Sa Itria. A due chilometri dal paese, inoltre, non è possibile non restare rapiti dal blu intenso, specie in autunno e inverno, del lago di Gusana, ideale per escursioni in canoa e per la pesca sportiva.

 

Castiglion Fibocchi e il maestoso Palazzo Comunale

E’ una delle perle del Valdarno Superiore, splendido territorio toscano che sorge tra Firenze, Arezzo e Siena. Il borgo di Castiglion Fibocchi si trova lungo la strada dei Setteponti e conserva ancora con cura le tracce di un nobile passato. E’ il caso del Palazzo Comunale, in pietra martellata e stuccata a conci regolari con coronamento merlato, sormontato dalla torre dell’orologio. Passeggiando per le viuzze del centro storico ci si imbatte nei resti delle mura castellane e nella suggestiva Porta Fredda, risalente al XII Secolo. Le origini del centro risalgono infatti al XII Secolo, quando veniva identificato col nome di “Castiglione in Val d’Arno”: l’antico abitato era racchiuso in una cinta muraria difesa da 7 torri e con 2 porte d’accesso: la Porta Fredda appunto, e la Porta del Sole. Di particolare fascino sono anche i resti di Villa Cassi e Villa Occhini. Grande interesse costituisce la chiesa di San Pietro a Pezzano del XII secolo con affresco attribuibile a Spinello Aretino. Sulla collina si possono osservare i ruderi di San Quirico, la pieve paleocristiana di cui si hanno testimonianze già dal XI Secolo. Percorrendo la strada dei Setteponti, inoltre, si possono ammirare alcuni resti della tipica edilizia rurale: case lopoldine, con la colombaia, la loggia e il portico, fra le più belle della zona.